PRODUZIONI

amleto
autore:massimo munaro
compagnia:teatro del lemming
tipo:professionale
regia:massimo munaro
anno:2010
attori:Chiara Elisa Rossini Diana Ferrantini Fiorella Tommasini Katia Raguso Mario Previato Alessio Papa Giovanni Refosco Boris Ventura Andrea Dellai Federica Festa
descrizione:TEATRO DEL LEMMING AMLETO liberamente tratto da The Tragical History of Hamlet, Prince of Denmark di William Shakespeare con Chiara Elisa Rossini, Diana Ferrantini, Fiorella Tommasini, Alessio Papa, Mario Previato, Boris Ventura, Andrea Dellai, Giovanni Refosco, Federica Festa, Katia Raguso elementi scenici Luigi Troncon drammaturgia, musica e regia Massimo Munaro “Il tempo è fuori di sesto. O quale dannata sorte essere nato per riconnetterlo!...” Amleto è l’opera che, più di ogni altra, inaugura la cultura moderna; anzi, per molti aspetti ne costituisce il mito fondante. Come personaggio mitico, Amleto dà vita ad un personaggio scisso, dilaniato, smarrito. Amleto è scisso fra fede umanista e scetticismo conoscitivo, fra segno e simulacro. È dilaniato, sul piano psicologico, dalla contesa fra il nome del padre e richiamo affettivo della madre, fra passato aureo e presente decadente, fra eros e rifiuto del corpo, fra ragione e follia, fra follia recitata e follia sperimentata direttamente. Amleto è condannato a vivere in un mondo rovesciato. Ogni valore è stato sostituito da una copia rivoltante. Ogni cosa dotata di senso è stata ridotta a una recita sinistra. Il mondo di Amleto, come il nostro, non solo cospira a desacralizzare tutto ma rende ciò che consideravamo sacro una farsa sempre più abbietta. In questo mondo paradossale la strategia di Amleto è quella così di giocare a rovesciare ogni paradosso. In Amleto ritroviamo la nostra solitudine, ancor prima che di spettatori, di cittadini. Se è vero che in una democrazia la regalità dovrebbe appartenere a ciascun cittadino, allora davvero ci sentiamo tutti soli e impotenti come questo triste principe che non conta nulla. Se Amleto è Principe lo è, come noi, soltanto in quanto erede. Erede di una potenza nobile che ora appare irrimediabilmente corrotta: “C’è del marcio in Danimarca”. Erede di un padre che ha il suo stesso nome, e il cui destino egli è chiamato a compiere. Perché il destino dei figli, come per Amleto, è quello di risolvere quello che i padri hanno lasciato come irrisolto. Nella sua natura scopertamente meta teatrale l’Amleto shakespeariano pone al centro il problema del teatro. Da una parte teatro come spettacolo, cioè simulacro, inganno, falsità, ipocrisia. In questo senso lo “spettacolo” ha ormai completamente invaso, insieme al regno di Danimarca, alla sua corte e ai suoi cortigiani, l’intero nostro mondo contemporaneo: qui la realtà si afferma come tale solo in quanto perpetua finzione. A questa spettacolarità diffusa Amleto oppone un teatro che sappia smascherare l’inganno, che sappia diventare uno strumento in grado di prendere in trappola la coscienza dello spettatore. Lo spazio del teatro diventa così lo spazio perturbante in cui i morti tornano a tormentare i vivi e in cui i vivi possono fare pace con essi. L’ingranaggio di misfatti, di cui soltanto alcuni sono visibili, fa di Amleto quella macchina infernale in cui la lucidità dello spettatore esce turbata come quella di Amleto. N.B. Saremmo felici se tu ci scrivessi le tue impressioni Teatro del Lemming – Viale Oroboni 14, 45100 Rovigo

edipo
autore:massimo munaro
compagnia:
tipo:professionale
regia:massimo munaro
anno:1997
attori:Chiara Elisa Rossini Diana Farrantini Fiorella Tommasini Alessio Papa Mario Previato
descrizione:Per gli antichi greci il vedere e il sapere - anche in senso etimologico - erano la stessa cosa. Sereno, se anche più triste di ognuno, colui che sappia almeno riconoscersi cieco. La cecità di Edipo ricade non soltanto nell'imperscrutabilità del futuro, ma persino nel dominio del proprio passato. Se Edipo si acceca è perché palesa al mondo la propria cecità interiore, perché vuole vedere, ma d’altronde al contempo ciò lo apre, così come accade per i veggenti e gli oracoli, ad una più fonda profondità di coscienza. Se EDIPO è un archetipo della nostra cultura occidentale, e forse di ogni cultura, è perché, come lui, siamo sospinti ancora oggi a decifrare l'Enigma. Ma l'enigma resta irrisolto, ci sfugge come la nostra immagine allo specchio. Chi sono io? Come ho potuto io vivere tutto questo? Edipo pone innanzi tutto il problema dell'identità. Della mia identità. E della libera volontà. Le mie azioni sono libere o sono mosse da invisibili manovratori che mi muovono e che alla fine scelgono per me? Chi muove le mie mani? E questa scissione è già in me. Avrei voluto il bacio da mia madre, ma non posso volere un bacio da mia madre che sia meno che casto. Morale e desiderio si prendono a pugni. E i miei occhi piangono. Se il tuo occhio ti dà scandalo strappalo! Generazione di mortali continuiamo ciechi a brancolare verso la risposta sconosciuta. Ma qui la mia cecità è palesata. La percezione è dilatata. Tutti i miei sensi sono direttamente coinvolti: e persino questo possiede uno strano sapore di incesto. Nel rovesciamento drammaturgico da spettatore mi ritrovo ad essere attore dell'azione. A ritrovarmi in Edipo. Sono spinto a salire, ad ascendere verso la risposta sconosciuta. Il tempo della riflessione verrà dopo, ORA si tratta di vivere. N.B.. - Saremmo felici se tu ci scrivessi le tue impressioni TEATRO DEL LEMMING – Teatro Studio, Viale Oroboni 14 - 45100 Rovigo infolemming@teatrodellemming.com www.teatrodellemming.com www.myspace.com/teatrodellemming

Amore e Psiche
autore:
compagnia:
tipo:professionale
regia:Massimo Munaro
anno:1999
attori:Fiorella Tommasini Diana Ferrantini Chiara Elisa Rossini Fiorella Tommasini Alessio Papa
descrizione:Sinossi del mito come riportato da Apuleio ne “Le metamorfosi” C’era una volta un Re e una Regina che avevano tre figlie, di queste la più giovane si chiamava Psiche: la sua bellezza era così folgorante che tutti gli abitanti del regno presero ad adorarla come una dea. Afrodite, gelosa che una mortale fosse adorata al suo posto, chiede al figlio Amore di mandarla sposa ad un terribile mostro: ma una volta vista sarà lo stesso Eros ad innamorarsi di lei e a volerla sposare. Amore si renderà invisibile agli occhi di Psiche e si unirà con lei nel buio del suo castello incantato, imponendole, pena la sua perdita, di non volerlo vedere mai. Le sorelle di Psiche, invidiose della sua felicità, la spingono a trasgredire il divieto del dio e Psiche verrà punita con la perdita del suo Amore. Psiche, rimasta sola, dovrà superare allora quattro difficili prove (fra cui discendere all’Ade per procurare ad Afrodite il profumo di Persefone) prima di potere ricongiungersi in matrimonio con il suo Amore, e insieme ascendere in cielo. Da alcuni anni il nostro gruppo ha intrapreso una inedita ricerca teatrale che si caratterizza per il coinvolgimento drammaturgico e sensoriale degli spettatori. Questa indagine da una parte si pone come riflessione sullo stesso statuto di teatralità, la cui origine di evento sacrale, che ne fonda la necessità, ricolloca al centro la possibile ridefinizione della relazione attori-spettatori. Questa ricerca d’altra parte si pone, contemporaneamente, anche come indagine sui profondi movimenti archetipici che le figure mitiche, sempre oggetto dei nostri ultimi lavori, inevitabilmente suscitano in coloro che le frequentano. La nostra vita sembra sempre seguire figure mitiche. Noi agiamo, vediamo, pensiamo, sentiamo soltanto come ci è consentito dai modelli primari costituiti nel mondo immaginale: la nostra vita psicologica è mimetica dei miti. Da questo punto di vista ogni nostro lavoro teatrale propone per attori e spettatori la possibilità di un incontro profondo e radicale con alcune, esemplari, figure mitiche. Il coinvolgimento sensoriale è lo strumento principale della nostra ricerca. I sensi/il senso del corpo. Corpo non più inteso come protesi di un’intelligenza che dovrebbe guidarlo, ma nella sua pienezza animistica, in quella nudità sorprendente che conduce alla nudità di sé e, forse, alla verità dell’incontro con altre anime e corpi. Il teatro torna e si impone così come il luogo dell’incontro, della relazione, e si propone nella sua necessità di evento, di esperienza che prima che cognitiva resta propriamente esistenziale ed organica. Il lavoro su AMORE E PSICHE prosegue quindi sulla strada aperta dai nostri precedenti lavori dedicati alle figure di EDIPO, DIONISO E PENTEO e si propone come ideale continuazione. In DIONISO E PENTEO, ad esempio, il rapporto attori-spettatori si faceva mimetico di quei rapporti esperiti sempre più spesso nelle relazioni col mondo che si stabiliscono appunto sotto il segno dell’opposizione e del non riconoscimento. In AMORE E PSICHE il movimento suggerito è esattamente di segno opposto. Qui la seduzione è agita per amore e conduce, finalmente, ad una congiunzione: congiunzione di anima e corpo, dell’io con l’altro, di attore e spettatore. Dalla dualità si giunge così alla condivisione, alla fusione-con l’altro. Il mito ci dice per altro che questa unione è tutt’altro che facile. Le vicissitudini di Psiche sono terribili e a volte paiono poterla devastare completamente: ma non sono che il cammino necessario alla sua unione finale con Amore. Il mondo piuttosto che come vana valle di lacrime, appare così, per dirla con Keats, “la valle del fare anima”. Al termine del loro peregrinare a tratti pauroso e doloroso, i due spettatori si riuniranno agli attori e insieme si rincontreranno fra loro. L’unione sul piano simbolico prevede così una sorta di moltiplicazione di piani: riunione dello spettatore con se stesso, con l’attore, con l’altro spettatore, con lo spazio e il mondo che li ospita. Poiché, per citare Jung, “l’anima non può esistere senza la sua altra parte, che si trova sempre in un TU”.

antigone
autore:
compagnia:
tipo:professionale
regia:Massimo Munaro
anno:2009
attori:Chiara Elisa Rossini Fiorella Tommasini Diana Ferrantini Katia Raguso Alessio Papa Mario Previato Massimo Munaro
descrizione:Creonte, reggente della città, ha ordinato di non dare sepoltura ai traditori di Tebe, tra questi uno dei fratelli di Antigone: Polinice. La giovane non può accettare una simile violazione del diritto naturale. Così di notte, trasgredendo la legge, seppellisce il corpo del fratello. Alla fine viene scoperta e condotta di fronte allo zio Creonte. Antigone non solo non si piega al volere di Creonte che invoca la legge, ma proclama ad alta voce il diritto alla disobbedienza quando la legge va contro i diritti inviolabili dell'essere vivente. E’ così condannata ad essere sepolta viva, nonostante le proteste del figlio, Emone, fidanzato della fanciulla. La volontà di Creonte finisce così per affermarsi, ma la morte di Antigone è contestuale alla terribile sventura che si abbatte su Creonte e sul suo potere. Antigone (Ἀντιγόνη) appartiene al ciclo di drammi tebani ispirati alla saga dei Labdacidi, insieme all'Edipo Re e a Edipo a Colono, che descrivono la drammatica sorte di Edipo, re di Tebe, e dei suoi discendenti. Nell'economia drammaturgica del ciclo, Antigone è l'ultimo atto, anche se è stata scritta da Sofocle prima delle altre tragedie. Il nucleo della Tragedia risiede nello scontro fra due volontà e due concezioni diverse del mondo: quella di Antigone, fanciulla fragile fisicamente ma fortissima moralmente, di rispettare le leggi non scritte della natura (phùsis) e quella di Creonte tesa a imporre la forza dello Stato e della legge (nomos) . Due ragioni si scontrano, si oppongono senza trovare alcuna mediazione possibile, entrambe sono portate all’eccesso e alla catastrofe. Intorno alla sorte della giovane eroina greca questo nostro lavoro si costituisce drammaturgicamente come un processo, in cui il pubblico, diviso all’inizio in due opposte fazioni, è direttamente chiamato in causa in qualità di testimone, accusatore e accusato. Agli spettatori verrà chiesto di schierarsi, di prendere posizione: chi sta dalla parte di ANTIGONE dovrà sapere che salirà sul palco ad affrontare “il giudizio”; chi sta dalla parte di CREONTE potrà stare (apparentemente) comodo e giudicante in gradinata. Ma le cose presto sfumano e si capovolgono. E d'altronde ci saranno attori sia sul palco (ANTIGONE) che in gradinata (CREONTE). Il loro scontro di idee, di pratiche, di concezioni – uno scontro che è poi quello del nostro tempo – può trovare una ricomposizione? Può essere fecondo o la nostra comunità va ad annientarsi seguendo per mimesi la rovina di queste due figure? Atene – la nostra città – potrà rinascere? Il tentativo resta quello di portare una comunità di spettatori, inizialmente divisi in due gruppi, a fare esperienza concreta del conflitto, fino a ritrovare lo spazio per una riflessione comune ed antitetica nel contempo, specchio di una complessità sociale senza tempo. Con la nostra precedente Tetralogia dello spettatore abbiamo cercato di investigare la condizione dello spettatore/cittadino (al singolare), oggi ci interessa allargare lo sguardo alla comunità, cioè alla natura e alla condizione del nostro vivere sociale. Dopo NEKYIA (parallela al dittico IL ROVESCIO E IL DIRITTO) questo nuovo progetto rappresenta un ulteriore passo in questa direzione. Il debutto dell’Opera è avvenuto alla Biennale Teatro di Venezia nel marzo 2009.

il sangue degli altri
autore:
compagnia:
tipo:professionale
regia:Massimo Munaro
anno:2006
attori:Chiara Elisa Rossini Diana Ferrantini Fiorella Tommasini Katia Raguso Mario Previato
descrizione:Dopo la Tetralogia dedicata al mito greco, che prevedeva il coinvolgimento diretto e sensoriale del singolo spettatore partecipante, e dopo la lunga gestazione di NEKYIA - Inferno Purgatorio Paradiso, questo dittico a suo modo indaga ancora i regni dell'oltre-mondo, nella rilettura e nella prospettiva, però, del pensiero esistenzialista francese. Il Ciclo prende il titolo de Il Rovescio e il Diritto, esplicito omaggio ad Albert Camus, e si compone di due personali riletture drammaturgiche: la prima ispirata al noto dramma di Jean-Paul Sartre, la seconda ad un romanzo di Simone De Beauvoir. Pur nell'autonomia di ciascuna parte il lavoro è pensato da noi come una sola comedìa della coscienza divisa in due atti. Come sempre nei nostri lavori si richiede agli spettatori una qualche forma di partecipazione diretta, una assunzione di responsabilità. Rispetto al passato però gli spettatori si troveranno qui ad essere partecipi consapevoli di un piccolo fatto collettivo. Da cui, per noi, oggi la possibilità di pensare al Rovescio e il Diritto come ad un ciclo di drammi didattici. IL SANGUE DEGLI ALTRI inizia esattamente laddove si concludeva A PORTE CHIUSE. In quel lavoro la dimensione claustrofobica, senza-vie-di-uscita, finiva, paradossalmente, per rovesciarsi dagli attori agli spettatori nello spazio aperto di un cortile. La finzione teatrale sembrava cedere il posto, improvvisamente, alla realtà concreta della vita. Da quel finale sospeso riparte qui la storia dei medesimi personaggi, che pure sembrano, rispetto all’ineludibile stasi dell’inferno, essere sottoposti ora ad una lenta, per quanto dolorosa, trasformazione. Una metamorfosi purgatoriale. In effetti, a differenza della dimensione di angosciante incomunicabilità vissuta nella prima parte di questo dittico, qui un dialogo fra i vivi e i morti pare essere possibile. Le erinni infernali sembrano essersi trasformate in eumenidi. I morti tornano, come Antenati, a interrogarci: essi ci pongono di fronte ad una responsabilità, ci chiedono di realizzare una scelta. Riescono a strapparci una promessa. Il tema mitico, di una rivitalizzante discesa dei vivi nel regno dei morti, si incontra qui con il deciso affermarsi di una dimensione storica. Ne IL SANGUE DEGLI ALTRI, il cui titolo è un omaggio al romanzo e al pensiero di Simone De Beauvoir, lo scenario storico è quello della resistenza europea sul finire della seconda guerra mondiale. Ma i fatti della resistenza – rievocati dalle Lettere dei condannati a morte della Resistenza europea e dalle testimonianze dirette raccolte ed elaborate dagli attori - non sono per noi da collocare in un passato interamente trascorso: essi si danno al contrario, esattamente come il mito, come sempre attuale possibilità dell’esistere. La Resistenza si offre così come metafora perfetta – purgatoriale – della lotta per la conquista ORA di una felicità possibile. La struttura formale, il passaggio continuo di stanza in stanza, rievoca e capovolge l’andamento del precedente lavoro. Alla lacerata frammentazione dell’identità individuale, che caratterizzava A PORTE CHIUSE qui la centralità è assunta dal flusso di una ritrovata identità collettiva. Alla scena, quasi interamente femminile, si contrappone un’unica figura maschile, che da oppositiva finisce per definirsi come una alterità che evoca la possibilità di una congiunzione. Il nero, tonalità dominante del precedente lavoro, cede il posto al bianco. L’acqua incontra, finalmente, la terra. Mi rivolto: dunque siamo.

MOMO
autore:
compagnia:
tipo:professionale
regia:Massimo Munaro
anno:2008
attori:Mario Previato Chiara Elisa Ferrantini Fiorella Tommasini Diana Ferrantini
descrizione:Risplende la tua luce nel buio della via non so di dove vieni e neppure chi tu sia sembri così vicina e sei così lontana non conosco il tuo nome, so solo che sei bella e dovunque ti trovi e chiunque tu sia scintilla scintilla piccola stella. (da un’antica nenia irlandese) Lo spettacolo è liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Michael Ende. Momo è una ragazzina che vive tutta sola all’interno di un teatro nella periferia di una città. Gli abitanti del quartiere si prendono cura di Momo e tutti la vanno a trovare. Infatti la bambina ha una specie di dono: Momo è in grado di ascoltare. Gli adulti la cercano per parlare, i bambini per giocare. Ma ben presto accade qualcosa di molto strano, tutti sembrano sempre più indaffarati e non hanno più tempo da dedicargli. In città sono arrivati gli Uomini Grigi che rubano il tempo agli adulti facendo credere loro che esso venga depositato in banche speciali. Di fronte all’invasione degli Uomini Grigi, Momo, con l’aiuto di Mastro Hora, il Maestro del Tempo, e di Cassiopea, una tartaruga molto particolare, salverà se stessa e la città da questa terribile oppressione. Quest’avventura, seppur piena di pericoli, permetterà alla bambina di scoprire i segreti del Tempo. La storia di MOMO è quella di una bambina che, con la forza dell’innocenza e dell’immaginazione, si ribella ai ritmi di vita e alla freddezza della società moderna. Il racconto difende i valori dell’infanzia e rivela l’inconsapevole saggezza dei bambini. Per la piccola MOMO, infatti, la fantasia, il saper ascoltare, il saper dare attenzione alle piccole cose, il prendersi cura, diventano armi vincenti contro la frenesia e il consumismo della società dei “grandi”. E’ la seconda volta che dedichiamo uno spettacolo al pubblico dell’infanzia. Con L’ODISSEA DEI BAMBINI avevamo pensato ad una sorta di piccola iniziazione al teatro (e alla vita) per il piccolo Odisseo, costruendo per un gruppo di 20 bambini un viaggio sensoriale fra oscurità, magia ed immaginazione. Con MOMO l’avventura si estende ad una comunità molto più numerosa e composita. Si tratta, per me, in particolare, di un omaggio agli attori del Lemming, lanciati in un’avventura per loro del tutto inedita, e, insieme, di un omaggio al Teatro, perché Momo resta prototipo di quella capacità di concretizzare con semplicità ascolto e magia che pure resta l’obbiettivo, spesso inattuato, del teatro. Massimo Munaro

Inferno
autore:
compagnia:
tipo:professionale
regia:Massimo Munaro
anno:2006
attori:Chiara Elisa Rossini Fiorella Tommasini Diana Ferrantini Alessio Papa Mario Previato
descrizione:Da un punto di vista drammaturgico il lavoro su INFERNO deve intendersi come una libera e personale scrittura scenica che interroga attori e spettatori a partire dal loro stesso statuto e, persino, nella loro comune e inquieta condizione di cittadinanza. Se da un punto di vista psichico l’Inferno, come è per il teatro, suggerisce uno sprofondamento dell’anima nel regno dei morti, del sogno e dell’inconscio - cioè in un luogo senza tempo - da un punto di vista etico esso ci riporta, invece, a domande basilari sul nostro tempo, sul regno del presente. A questo presente gli spettatori, qui, sono lasciati nella loro condizione quotidiana di muta impotenza. Ma, d’altra parte, se, come cerchiamo di testimoniare con Inferno, la nostra società è davvero diventata una “società dello spettacolo”, invadendo qualunque espressione sociale, il compito del Teatro, a noi pare, è diventato quello di affermare per sé uno statuto non spettacolare, poiché questa è l’unica via onorevole, forse l’ultima possibile, per giustificare la propria esistenza. Riportare così il teatro ad una dimensione rituale, da cui pure esso sgorga originariamente, significa affermare oggi la sua funzione e la sua necessità. Da questo punto di vista il teatro – da tempo – dovrebbe essere considerato non più luogo della finzione – che lasciamo volentieri all’infera spettacolarità diffusa – ma come luogo della rivelazione (Theatron, appunto), dovrebbe essere cioè in grado di costituirsi come regno dell’Anti-finzione. In altre parole: o il Teatro è in grado di proporsi come momento di Verità per una comunità di attori e spettatori considerati nella loro singolarità personale – perché, come ha scritto Gabriel Marcel, “non vi è autentica profondità che quando può realmente effettuarsi una comunicazione umana e una tale comunicazione non può darsi in mezzo alla massa” – o il teatro non ha più alcuna ragione di esistere. Il lavoro su INFERNO rappresenta la messa in gioco di questa questione, oggi, ineludibile. Il lavoro si costituisce come riflesso della nostra infera condizione quotidiana. E, come uno specchio crudele, questo riflesso si propone di provocare nello spettatore uno shock rivelatore e salutare. Per gli spettatori si tratta così, nell’attraversamento completo di NEKYIA, di rimettere concretamente in gioco il proprio ruolo e la propria funzione: dalla solitaria passività iniziale (Inferno), alla trasformazione (Purgatorio) in attori di un gioco collettivo (Paradiso). La scommessa per noi oggi è infatti quella di ripensare il Teatro come luogo di un rito collettivo.

Nekyia
autore:
compagnia:
tipo:professionale
regia:Massimo Munaro
anno:2006
attori:Chiara Elisa Rossini Fiorella Tommasini Diana Ferrantini Alessio Papa Mario Previato
descrizione:Dopo una lunga serie di studi preparatori questo lavoro conclude la nostra ricerca, durata quattro anni, sulla Divina Commedia. Il lavoro drammaturgico che qui abbiamo operato è diretto alla sintesi, nel tentativo, al di là della lettera e della struttura del testo, di restituire, con un gesto estremo e purificato, la complessità di un percorso che abbraccia una riflessione sulla condizione psicologica, politica e morale dell’uomo e del mondo in cui vive. Il viaggio di Dante è infatti un viaggio nell’al di là del mondo e insieme è un viaggio alla ricerca del senso ultimo del nostro esserci nel mondo. Dante attraversa la sua anima individuale nello specchio dell’anima universale del mondo e incontra l’anima universale nel riflesso della sua propria anima. Occorre così pensare a Dante come cittadino di una polis, e alla sua Nèkyia, (in greco viaggio per mare di notte o discesa agli inferi), a differenza di quella compiuta da Odisseo o da Orfeo, come a un tentativo di rifondazione di una comunità. Da qui la scelta di affidare ad un piccolo gruppo di spettatori (in questa caso diciassette) l’identità e il ruolo del protagonista. Proporre a questo piccolo gruppo di spettatori una Nekyia sulle orme del viaggio dantesco, significa per noi riformulare il linguaggio del teatro in favore della sua essenza di rito radicale e trasformativo. Un rito che sappia interrogare lo statuto teatrale fino a rimettere in gioco i suoi poli fondanti: gli attori e gli spettatori. La loro relazione è qui ripensata, rispetto alla nostra precedente Tetralogia, dove il coinvolgimento era pensato per ogni singolo spettatore partecipante, in favore del corpo di una, seppure piccola, comunità. L’Inferno di Dante è un luogo archetipico. Se da un punto di vista psichico l’Inferno, come è per il teatro, suggerisce uno sprofondamento dell’anima nel regno dei morti, del sogno e dell’inconscio - cioè in un luogo senza tempo - da un punto di vista etico esso ci riporta, invece, a domande basilari sul nostro tempo, sul regno del presente. A questo presente gli spettatori sono lasciati nella loro condizione quotidiana di muta impotenza. Nel Purgatorio continuano ad avere stanza tutti gli affetti tipici della condizione umana: la paura, la speranza, il rammarico per quel che, in vita, si poteva dire o fare e che resta non detto o non fatto. Certamente si tratta di una dimora provvisoria, di un «paese di transito». In Dante l’accento cade sulla sua funzione di trasformazione di cui proprio la condizione penitente offre la chiave. Per i viventi il Purgatorio è il luogo in cui potersi riconciliare con i propri morti attraverso la preghiera e la memoria. Nel nostro lavoro, dopo una vestizione rituale, tutto assume l’andamento di una cerimonia sacra. Il maestro che ci accoglie, ci inizia progressivamente alla preparazione di un viaggio che si svela, dietro la porta buia, come niente affatto rassicurante quanto necessario. Ci si immagina il Paradiso dantesco come qualcosa di statico, di lietamente sereno o come il luogo della grazia imperturbabile. Ma al contrario esso si da come il luogo del perturbante estremo. Perché è proprio questa grazia che ci coglie, come Dante, del tutto impreparati e che ci strugge fino allo sfinimento. Ciò che ci perturba è questa divinità vivente che è della terra, degli occhi, delle mani, delle orecchie, della pelle, di tutti i nostri sensi esplosi. Per gli spettatori si tratta così, durante questa esperienza, di rimettere concretamente in gioco il proprio ruolo e la propria funzione: dalla solitaria passività iniziale (Inferno), alla trasformazione (Purgatorio) in attori di un gioco collettivo (Paradiso). La scommessa per noi oggi è infatti quella di ripensare il Teatro come luogo di un rito collettivo. Questo nostro lavoro, infine, è dedicato a Roberto. Non solo perché questo progetto – come sempre – è stato discusso fra noi fino alle ultime ore della sua vita, fra mille parole, mille paure, mille entusiasmi; non solo perché senza di lui – senza il suo esempio, il suo sostegno, il suo lavoro, le sue idee – questo progetto probabilmente non sarebbe nemmeno mai stato immaginato; ma anche nella speranza che fra le tante immagini e Visioni di cui si nutre questa opera, si nasconda fra le sue pieghe e in qualche modo riverberi il sorriso del suo Volto.